Gli eremi e il conventino dei francescani di Manciano di Maremma

Manciano sorge su un’altura che domina gran parte della Maremma ed centrale a un crocevia di percorsi diretti a Orbetello, Capalbio, Pitigliano, e più lontano a Grosseto o Viterbo. Nel medioevo fu un castello appartenuto agli Aldobrandeschi di Santa Fiora, quindi al ramo di Sovana (anni ‘70 del secolo XIII) e ai Baschi (circa fine secolo XIII). Dopo di loro pervenne al comune di Siena (1418), che vi innalzò una torre e vi costituì una Dogana-Bandita di pascoli per i greggi transumanti. Caduta la città in dominio di Firenze e del granducato di Toscana, Manciano fu amministrato da un “giusdicente” fino al 1778 e divenne comunità con editto del 1783.
Protagonista di una tipica storia ‘maremmana’, tra feudi, guerre e spopolamento, il paese si trova raccontato, tramite le fonti di archivio, nel bel libro di P. Maccari e M. Noccioli: Manciano, Montemerano, Saturnia, Marsiliana..., 1995.
E ad esso ovviamente si rimanda chi volesse saperne di più, anche se tra i manoscritti e stampe occasionali, si trovano notizie particolari e meritevoli di citazione e forse di analisi: ad esempio il castello ospitò nel 1234 la famiglia di Pandolfo del fu Ildebrandino da Manciano, nel 1293 quella di Cione di Aldobrandino dei “signori di Manciano” con la moglie Beatrice d’Ugolino (Schneider).
Riguardo inoltre ai Baschi, fedeli ghibellini, nel 1328, i figli del fu Neri e i figli del fu Cecco ottennero dall’imperatore Ludovico IV il Bavaro “castrum Manciani et castrum de Monteacuto castrensis dyocesis et castellare Saturni Soane dyocesis cum domibus casalis et fortilitiis ipsorum et cuiuslibet eorum cum universis hominibus, habitatoribus et habituris ...”, come dice una pergamena dell’Archivio di Stato di Siena.
Datati al 19 dicembre 1431 invece furono i capitoli di sottomissione a questa forte città e del dicembre 1508 un riconfinamento di Manciano e di altri castelli e comuni a favore della vicina corte della Marsiliana, allora di Pandolfo Petrucci.

Andando a parlare della sede dei Francescani a Manciano, essa è da inquadrare nell’ambito dell’aiuto fattivo a un paese in calo demografico e trascurato al pari d’altronde dell’intera Maremma che i Medici già dall’ultimo ventennio del cinquecento si adoperarono a rinvigorire con il rifacimento di strade, fonti, boschi, pascoli e altro.
La nota inedita ricorda il convento al 1600. Lo scrittore è il l p. Niccolò Papini Tartagni (San Giovanni Valdarno 1751 - Terni 1834), custode del Sacro Convento d'Assisi (1800), guardiano del convento dei XII Apostoli a Roma (1803) e ministro generale del suo ordine (1803-1809). Dopo aver pubblicato a stampa L’Etruria Francescana I, lasciò come manoscritto, a Santa Croce di Firenze, L’Etruria Francescana II, che tra i conventi riporta proprio il:

“Convento di Manciano”. E prosegue:
“Nella diogesi di Soana [Sovana dal 1786, prima di Castro] posta è la terra di Manciano. Qui predicando la Quaresima del 1600 il padre maestro Francesco Magnani Cancellieri di Pistoia per contentare que’ popoli che glie l’offersero con molta instanza e premura, accettò a nome della religione un piccol luogo con chiesa dedicata a San Giovanni, e vi eresse un conventino, ove per consolazione de’ paesani dimorò qualche tempo. Mancò questo meschino stabilimento sotto Innocenzo X [bolla Instaurandae regularis disciplinae del 1652] e fu aggregato a San Processo [a Castel del Piano]”.

Altre notizie sul suddetto ‘stabilimento’ si trovano nelle Visite ispettive (civili) riportate da Maccari-Noccioli una prima volta a p. 44:

«Romitorio di San Giovanni. Nel 1572 nella Visita Rasi [Francesco, auditore fiscale] sono descritti due romitori nella corte di Manciano “chiesa di San Giovanni Interpilia anzi Romitorio padronato della Comunità, la tiene ser Giovanni Battista eremita, e Romitorio di S. Antonio similmente padronato della Comunità tenuta da frate Andrea eremita”. Nel 1615 il Corbinelli [Carlo, provveditore] poi afferma l’esistenza del “Romitorio di S. Giovanni e S. Antonio che è della Comunità”. Oggi ne rimane un casolare che nel 1824 è stato censito nel Catasto Leopoldino (Sez. H, 302)».
Chiesa di San Francesco (Podere di Gazia). Nel 1676 il Gherardini [Bartolomeo, auditore] descrive l’avvenuta soppressione (per la bolla di Innocenzo X) del conventino di S. Francesco e la sostituzione alla gestione del patrimonio del vescovo di Acquapendente. [...] il casale e la chiesetta dallo stile seicentesco sono censiti nel catasto leopoldino (Sez. L, 918, 919, Podere Montioli)”.

A p. 72 del libro, sempre riguardo alla Visita Gherardini 1676, gli autori trascrivono anche la parte relativa del manoscritto:

“Altra chiesa sotto titolo di S. Francesco posta poco fuori della Terra. Questa prima era offiziata da’ p.m. Conventuali che vi tenevano un frate sacerdote, ma nella soppressione de’ conventini l’entrate di questa chiesa l’ànno perse, e le prendono i vescovi di Acquapendente, affittando i di lei beni, da’ quali ricavano scudi diciassette annui. A questa chiesa sono annessi i beni del Romitorio di San Giovanni e di S. Antonio, di patronato della Comunità. Vi era in detto Romitorio la chiesa oggi spalcata, e l’offiziavano i detti Padri”.

Paola Ircani Menichini, 30 agosto 2023.
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